Le età di Massimiliano I e di Carlo V avevano visto evolversi sotto una nuova luce i rapporti tra la contea del Tirolo e il principato vescovile di Trento, il quale con la stessa anche dopo il suo passaggio sotto casa d'Austria vantava secoli di difficile convivenza. La stagione in cui l'impero era tornato prepotentemente e con progetti di ampio respiro al centro delle vicende europee aveva sortito l'effetto di sospendere i contenziosi in materia giurisdizionale tra i conti e i principi vescovi, mentre questi ultimi erano stati addirittura elevati a elementi-chiave della politica imperiale: a partire dal Neideck, fino alla grande figura del Cles, per giungere al ruolo di Cristoforo Madruzzo come attivo fautore dell'ambizioso disegno di Carlo V.
Le scissioni religiose che avevano travolto la Germania e si trasmettevano ad altre regioni dell'Europa centrale e settentrionale e che fecero trascolorare il sogno' di un universo cristiano unito sotto lo scettro degli Asburgo produssero effetti anche nel principato tridentino. Svanito il compito di luogo di incontro in vista di una possibile pacificazione tra protestanti e cattolici esercitato dalla sua piccola capitale durante la stagione conciliare, il territorio vescovile tornava ad essere oggetto delle mire tirolesi. Le terre degli Asburgo d'Austria, ora svincolate da quelle dei cugini spagnoli, andavano del resto ormai assumendo una connotazione propria, mentre la contea del Tirolo veniva nuovamente affidata a un ramo collaterale della famiglia, dopo che sotto Massimiliano e Carlo V le figure di conte e di imperatore coincidevano.
Fu in questa nuova temperie, la quale con l'offuscarsi dei progetti universalistici riportava in vita i vecchi contrasti locali, che si sviluppò il lungo contenzioso giurisdizionale tra Ludovico Madruzzo e l'arciduca Ferdinando conte del Tirolo, fratello del nuovo imperatore romano-germanico Massimiliano II. Al vuoto di potere creatosi nel principato, quando Cristoforo tardava a passare definitivamente il potere al nipote Ludovico, viene attribuita la mossa avventata di quest'ultimo appena nominato vescovo di Trento. Si trattò della firma nel 1567 di un accordo con la contea contenente clausole che pregiudicavano l'autonomia del principato e la sua appartenenza diretta (unmittelbar, immediata) all'impero, per farne un territorio mediato' (mittelbar), cioè inserito sempre nella compagine romano-germanica ma indirettamente, in quanto dipendente principalmente dal conte del Tirolo. Il tardivo recedere di Ludovico Madruzzo dagli impegni presi, avvalendosi del fatto che per decisioni di tal genere necessitava l'assenso dell'intero corpo germanico, diedero luogo al sequestro del principato, operato dall'imperatore Massimiliano, mentre di fronte alle minacce tirolesi i canonici e il vescovo riparavano a Riva del Garda e quest'ultimo si portava poi a Roma. Non mancarono alla grande personalità di Ludovico, grazie al ruolo da lui ricoperto nella curia romana, né l'appoggio papale, né quello di Filippo II di Spagna. Dopo la cosiddetta "Notula spirense" (l'accordo in merito alla vertenza tridentina raggiunto alla dieta di Spira nel 1571) fu la denuncia inoltrata contro l'imperatore dal duca di Baviera nella dieta di Ratisbona del 1576 ad accelerare la soluzione della questione: due anni dopo Ludovico poté infatti assumere il governo temporale del principato di Trento mantenendo illesi i diritti di quest'ultimo.
Nel 1595, alla morte dell'arciduca Ferdinando del Tirolo, la contea venne amministrata per alcuni anni dall'imperatore Rodolfo II, per passare poi sotto la reggenza dell'arciduca Massimiliano Gran Maestro dell'Ordine Teutonico. Essendo quest'ultimo un religioso e non potendo dar luogo a una stirpe, nel 1619 il Tirolo passò all'arciduca Leopoldo, fratello dell'allora imperatore Ferdinando II. Anni turbolenti per i principati vescovili di Bressanone e di Trento (ma in particolare per quest'ultimo) rappresentò il periodo di reggenza dell'arciduchessa Claudia de' Medici, contessa del Tirolo e vedova di Leopoldo. Con i figli di quest'ultima, Ferdinando Carlo e Sigismondo Francesco, morti senza lasciare prole, si estinse il ramo tirolese degli Asburgo e la contea da quel momento ritornò definitivamente all'arciduca d'Austria e sacro romano imperatore
Durante la prima metà del Seicento anche in Tirolo pesò l'ombra minacciosa della guerra dei Trent'anni, mentre le vicende politiche interne furono soprattutto caratterizzate dagli attriti tra gli Asburgo e i ceti' (Stände) della regione per ottenere sovvenzioni atte a far fronte ai pressanti impegni bellici. I due principati vescovili che coprivano una parte del territorio, i quali erano legati alla contea per quanto riguardava la difesa comune ancora dal Libello del 1511, non rimasero esenti da tali vertenze. Essi si aggrapparono all'antico trattato e procrastinarono finché fu loro possibile un innalzamento degli oneri contributivi, provocando la reazione dei conti del Tirolo. Questi ultimi intravidero la soluzione ai dinieghi vescovili tridentini in materia fiscale cercando di raggiungere l'obiettivo che non era riuscito a Ferdinando durante il vescovato di Ludovico Madruzzo: rendere il principato dipendente direttamente dalla contea e inserirlo nella dieta del paese insieme agli altri ceti', come suddito e non più come membro esterno. Se l'opposizione dei messi tridentini alla dieta, pur biasimata, riuscì sotto l'arciduca e conte del Tirolo Leopoldo, crollò durante la reggenza dell'energica Claudia de Medici. Quest'ultima, dura verso gli stessi propri ceti' provinciali per la troppa parsimonia con cui concedevano le contribuzioni, nel 1632, mentre le truppe protestanti svedesi minacciavano per la seconda volta le frontiere settentrionali del Tirolo, spedì i propri soldati a Trento per obbligare il vescovo Carlo Emanuele Madruzzo ad adeguarsi alle richieste fiscali e in particolare al pagamento di una tassa vinaria. Dopo complicate trattative condotte alla dieta dell'impero di Ratisbona e con l'aiuto di papa Urbano VIII, si giunse a un compromesso rispetto alla faccenda delle contribuzioni. Ma la sanzione ultima dei diritti del principato tridentino a conservare il proprio ruolo di organo direttamente dipendente dal corpo romano-germanico, evitando dunque di essere incluso nella contea, avvenne oltre la metà del secolo. Quando le pretese dell'arciduchessa Claudia vennero rinnovate dal figlio Ferdinando Carlo, succedutole nel 1646, il problema giunse addirittura sul tavolo delle trattative condotte per la pace Westfalia. Nel 1649 il collegio dei principi elettori dell'impero si espresse in favore dei diritti di Trento e Bressanone, ma l'imperatore Ferdinando III non diede risposta. Benché i due vescovi, pur dietro accomodamenti in materia contributiva, di fatto rimanessero illesi nella loro condizione di principi dell'impero, la questione nel suo profondo rimase irrisolta. Carente fu anche la cosiddetta Transazione del 1662, stipulata tra la contea del Tirolo e l'allora principe tridentino Sigismondo Francesco d'Asburgo, che intendeva regolare questa e una serie di altre questioni da tempo in sospeso.