Dopo l'ingloriosa deposizione di Romolo Augustolo nel 476, l'Italia divenne in teoria una provincia dell'Impero d'Oriente, in pratica terra d'occupazione barbarica. Odoacre aveva restituito a Costantinopoli le insegne imperiali, assumendo il titolo di "rex barbarorum" e chiedendo vanamente di essere considerato governatore della diocesi d'Italia con dignità di patrizio. Il governo bizantino continuò invece a riconoscere fino al 480, quando morì, il vecchio ex imperatore d'Occidente Giulio Nepote, esule in Dalmazia dal 475.
Sconfitto ed ucciso a tradimento Odoacre nel 493 dall'invasore Teodorico con i suoi Ostrogoti, la penisola fu dapprima staccata dall'Impero anche formalmente e si costituì un regno gotico che durò fino alla riconquista bizantina (553). Nel 498 tuttavia si ebbe una pacificazione tra il re goto e l'imperatore Anastasio per la quale venne nuovamente riconosciuta l'alta sovranità formale dell'Impero e Teodorico accettò di essere vassallo per quanto riguardava il governo della popolazione latina: le cariche civili furono riservate ai Romani, quelle militari ai Goti, vennero mantenute le strutture amministrative e politiche preesistenti (anche il Senato), le monete portavano da un lato l'immagine dell'imperatore, dall'altro il monogramma del re, che si era circondato di consiglieri romani tentando di mantenere le due popolazioni in pacifica convivenza, ma nettamente distinte nelle tradizioni e nelle norme giuridiche. I tribunali erano distinti, le cause miste avevano giudici delle due stirpi in numero pari, le scuole erano divise, i matrimoni misti erano proibiti e così via. I tributi invece venivano in pratica a gravare quasi totalmente sulla popolazione romana. Inoltre il re si limitò ad emanare editti, anziché leggi; queste erano prerogativa del solo imperatore, quelli erano consentiti ai funzionari imperiali nell'ambito delle proprie giurisdizioni e dei propri poteri delegati.
Nel Trentino in questi decenni si erano succedute orde di invasori da nord e da est lungo le direttrici classiche dell'Adige e della Brenta: riportata la pace ed instaurato il regno ostrogoto, Trento divenne un caposaldo della difesa delle valli alpine da possibili incursioni od attacchi barbarici d'oltralpe ed avamposto fondamentale del nodo cruciale di Verona.
Nel 493 avvenne anche uno scontro tra barbari ribelli, all'interno della guerra tra Teodorico ed Odoacre, lungo l'Adige tra Trento e Verona.
L'importanza di Trento e della sua valle anche in epoca tardo-imperiale è confermata da un passo dello storico romano Ammiano Marcellino, nel quale si narra che il 29 maggio del 357 l'imperatore Costanzo si diresse da Roma verso le province illiriche per contrastare gli attacchi sul Danubio, passando per Trento. Il tragitto più logico sarebbe stato lungo la direttrice di Aquileia, ma risalendo l'Adige l'imperatore poteva rendersi conto della situazione delle Rezie e del Norico e seguendo la val Pusteria entrare egualmente nelle province orientali.
Anche le popolazioni montane già romanizzate non erano molto tranquille se nelle Variae (lettere, editti, decreti dei re goti stesi e raccolti dal loro ministro romano Cassiodoro), tra il 507 e il 511 c'è un invito al governatore (dux) delle Rezie ad intervenire per bloccare le incursioni e le razzie dei Breuni, abitanti il versante alpino meridionale a ridosso del territorio tridentino, contro inermi proprietari locali.
In questa prospettiva è da vedere il significato della contemporanea lettera di Teodorico ai cittadini di Trento, nella quale il re invita la popolazione a costruire edifici di rifugio in caso di pericolo sul Doss Trento (Verruca), già fortificato e descritto come luogo adattissimo alla difesa e chiave della provincia italica, anche se viene affermato esplicitamente che la Venetia è sicura e pienamente in pace.
Il colle aveva del resto un peso rilevante nella vita della città di quei tempi, tanto che vi sorgeva anche una chiesa (forse già nel V secolo) con una cappella esterna dedicata ai ss. Cosma e Damiano, eretta dal vescovo Eugippio intorno al 530.
La popolazione era già mista, composta dalle due stirpi e fedi (la lettera è indirizzata ad ambedue le comunità), con chiese cattoliche e chiese ariane, come può far intuire un'altra delle Variae, sempre tra il 507 ed il 511, relativa ad un prete goto di Trento.
Lo stesso valore ha pure l'altra famosa lettera ai possidenti feltrini del 523/526, nella quale li si invita a collaborare alla costruzione di una città nella "regione tridentina", e quindi a concorrere alle spese dei lavori perché confinanti, in quanto per la povertà e la scarsa estensione del territorio i tridentini non ne possono sostenere l'impegno.
Ne resta un ricordo nella mascherata cittadina dei "Ciusi e dei Gobi", ove i feltrini rubano, o tentano di rubare, le vettovaglie, cioè la polenta, ai trentini.
L'invito ha suscitato tra gli studiosi prese di posizione a favore sia della fondazione di una nuova città, sia semplicemente della costruzione delle mura cittadine, come era stato per Verona, molto cara a Teodorico.
Verosimilmente si trattò del rafforzamento o della realizzazione di un centro fortificato per proteggere e difendere la popolazione, distinto dal capoluogo (che altrimenti sarebbe stata citato) ma non lontano, forse in direzione della Valsugana, ma anche a settentrione della città (alle "Navi" di Lavis? logico avamposto e difesa dagli attacchi da nord) e probabilmente mai realizzato. Potrebbe però trattarsi anche del completamento delle stesse fortificazioni od opere murarie sul Doss Trento: non è improponibile il fatto che i lavori siano durati a lungo e siano proceduti con lentezza per le difficoltà economiche che indussero il re a scrivere ai proprietari feltrini e per le ricorrenti carestie, tanto che la popolazione fu esonerata anche dal pagamento dei tributi.
La lettera pone anche un altro interrogativo: qual era il confine del territorio verso oriente lungo il fiume Brenta.
Comunemente accolta è la convinzione che in epoca romana il municipium feltrino giungesse a ridosso di quello tridentino, appartenendo la popolazione del primo alla gens Menenia e quella del secondo alla Papiria, e si fermasse a poche miglia dalla città. Anche le ripartizioni ecclesiastiche ripetevano tale situazione, ma probabilmente non per ragioni amministrative, bensì per diritti di evangelizzazione, giunta in Valsugana da est anziché dalla val d'Adige, tanto che il confine tra le due diocesi non fu mai contestato e rimase invariato fino al 1786. Con la prima dominazione barbarica verosimilmente le cose non cambiarono e la lettera di Teodorico ci fa supporre ragionevolmente che i possessori feltrini citati fossero i valsuganotti, i più vicini a Trento ed alla valle atesina (passaggio obbligato degli eventuali incursori da nord), ed abitanti un vicino rifugio per chi di là fuggiva.
Non si può tuttavia rifiutare a priori la possibilità sostenuta da qualche studioso che l'ipotetica cittadella fortificata fosse in piena Valsugana: forse addirittura presso quell'Alsuca ricordata dalle fonti nel 590 e che viene identificata con Borgo. In questo caso già con i Goti la valle sarebbe passata (almeno in parte) sotto il governo di Trento ed in realtà l'importanza di Feltre in epoca barbarica, e specialmente con i Longobardi, si ridusse molto, indebolita come fu dall'abbandono del tratto montano della via Claudia Augusta Altinate a favore del più facile, anche se soggetto alle piene del fiume, percorso di fondovalle, ancor oggi asse portante del traffico tra la pianura veneta sud-orientale e il nord. Impossibile è tuttavia verificare l'ipotesi (poco probabile comunque) e l'eventuale confine, stante anche l'estrema povertà di testimonianze gote. Proprio in Valsugana rimarrebbe un ricordo della loro presenza nel toponimo Andrigo nel comune di Torcegno, che si affiancherebbe ad Andalo, Dasindo, Ingenga (presso Rabbi) nel resto della provincia.
A settentrione invece i Goti occupavano l'intera valle dell'Adige e la val d'Isarco, ove un loro relitto linguistico potrebbe essere il toponimo Gossensass (Colle Isarco), ma anche i versanti settentrionali delle Alpi ove le spinte franche e germane erano tenute a bada dal dux delle Rezie, inserite a pieno titolo nel regno d'Italia ed il cui governo militare era probabilmente a Coira, capitale dell'attuale cantone svizzero dei Grigioni.
Dopo la scomparsa di Teodorico nel 526 (ricordo di passaggio la memoria che ne è rimasta nella tradizione e nelle leggende alpine e trentine, riscontrabile persino nella figura silvana del Beatrìco, gigantesco cacciatore selvaggio, molto temuto, che si aggira a cavallo nei boschi seguito da una muta di cani famelici), le lotte all'interno dello Stato, le frizioni tra Romani e Goti, la ripresa della spinta bizantina per il recupero delle terre d'Occidente, la crescente forza dei Franchi, portarono ad un periodo di instabilità prima e di guerra poi.
La corte di Costantinopoli aveva solo sopportato il regno di Teodorico. Salito al trono Giustiniano (527-565), si cominciò a preparare la riscossa per ricostruire l'Impero nella sua grandezza e nella sua dignità, sia ad oriente sia ad occidente.
Contro i Goti i Bizantini si mossero inizialmente conquistando la Sicilia e la Dalmazia ed ingiungendo a re Teodato di riconoscere anche nei fatti l'alta sovranità dell'Impero, mentre Belisario, comandante della spedizione, risaliva la penisola fino a Roma, che gli aperse le porte nell'aprile 536. Sull'onda degli avvenimenti il re fu deposto e sostituito con Vitige, che cercò subito alleanze con i Franchi. Nel 540 Belisario riuscì ad occupare la stessa capitale del regno, Ravenna, e prendere prigioniero Vitige. La guerra tuttavia continuò e re Totila tra il 542 ed il 548 riconquistò gran parte delle terre perdute. In una sanguinosa battaglia svoltasi a Tagina in Umbria nel 552, i Goti subirono però una gravissima sconfitta e lo stesso re perdette la vita. Il suo successore, Teia, tentò un'ultima difesa tra Napoli e Salerno: lo scontro fu violentissimo e lungo, ma dopo due giorni di lotta i Goti furono sbaragliati ed il loro regno distrutto.
Pesanti furono le calamità che accompagnarono questa lunga guerra, nella quale pestilenze, carestie, saccheggi, devastazioni, stragi portarono allo stremo molta parte della popolazione, e non ne fu esente la regione tridentina, ove come nel resto d'Italia si ebbe pure una gravosissima carestia tanto che nel 535-536 il governo di Teodato fu costretto a distribuire a prezzo politico derrate alimentari tolte dai magazzini provinciali, tra i quali era Trento, e sulla quale si abbattè anche l'incursione alamanna del 536 (sotto il re Vitige), e che vide poi l'occupazione, a partire dal 539-40, delle valli alpine e forse dell'intera valle dell'Adige da parte dei Franchi (conseguenza degli accordi di alleanza con Vitige?), che furono ricacciati dai Bizantini solo nel 556, dopo la fine della guerra gotica, con l'aiuto degli stessi vinti, mentre un'altra discesa di Alamanni misti a Franchi e Goti ribelli portava rovine fino al sud della penisola e venne respinta e le truppe barbariche distrutte solo dopo vari mesi. La fine dell'avventura si ebbe nella zona del Garda tra Verona e Trento con la morte (naturale) dell'ultimo loro capo.