Dopo il primo fugace esperimento fascista del 1919, dovuto al roveretano Alfredo Degasperi, un fascio di combattimento venne costituito a Trento nel 1920 ad opera di Achille Starace, caratterizzato dalle pesanti critiche rivolte a Credaro accusato di debolezze e cedimenti nei confronti del gruppo tedesco. Starace fu anche al comando delle squadre fasciste che a Bolzano, il 24 aprile 1921, aggredivano un corteo in costume tirolese causando un morto e diversi feriti. L'azione su Bolzano e Trento dell'ottobre 1922, compiuta in grandi forze, venne organizzata fuori regione, dai vertici del partito, per il suo significato di attacco diretto al governo.
Fin dal primo impatto con il Trentino, il fascismo assunse l'aspetto del centralismo statale imposto ad un paese legato ad inveterate tradizioni di decentramento e di autonomia. Con decreto del 21 gennaio 1923 veniva istituita la Provincia di Trento, comprendente anche i circondari di Bolzano, Merano e Bressanone ma con distacco dell'Ampezzano, affidata al prefetto Giuseppe Guadagnini. L'erezione della provincia unica non dispiaceva ai ceti dirigenti trentini che si sentivano investiti del compito di difendere l'italianità ai confini; il prefetto, tuttavia, subito impegnato in Alto Adige ad imporre la trasformazione della scuola tedesca in italiana, era più propenso ad ascoltare la voce di Roma ed a sostenere i provvedimenti formulati dal Tolomei per l'assimilazione rapida dei sudtirolesi con il resto del regno.
Il 18 febbraio 1923 entrava in vigore nella provincia la legge comunale italiana che cancellava le antiche libertà dei comuni e gli statuti propri delle città maggiori e, nel dicembre, la nuova legge provinciale e comunale ispirata ad un accentramento ancora maggiore. Con provvedimento legislativo del febbraio 1926 saranno poi istituiti il podestà e la consulta municipale non elettivi, ma nominati dall'esecutivo, nei comuni non eccedenti i 5000 abitanti ed infine, con decreto del settembre 1926, l'ordinamento podestarile verrà esteso a tutti i comuni del regno. Successivamente, con interventi d'autorità, si avrà l'aggregazione dei comuni trentini portati da 366 a 127 distruggendo un'articolazione che, nonostante i limiti obiettivi, era conforme alla geografia del paese e costituiva l'elemento basilare della vita comunitaria.
La penetrazione del fascismo nel Trentino non si presentava facile, compromessa anche dalle ricorrenti beghe e dalle crisi interne dei fasci locali, mai risolte nemmeno con il loro affidamento a personalità del luogo. Perfino la valorizzazione del nazionalismo e dei combattenti non corrispondeva pienamente alle previsioni, perché si riscontrarono adesioni all'associazione antifascista "Italia libera" e la stessa Legione Trentina sollevava qualche perplessità sulla politica del governo. Le popolazioni, pur senza atti di palese contestazione, provavano delusioni e disagi di fronte ai provvedimenti politici ed amministrativi che sconvolgevano gli assetti esistenti e sentivano il fascismo come estraneo alla loro mentalità, anche per ragioni di stile. Il vescovo Endrici, preoccupato per gli interventi scolastici in Alto Adige, ed i popolari, interessati a difendere gli interessi sociali ed economici legati all'associazionismo di stampo cattolico, esprimevano pubblicamente il dissenso.
Le consultazioni politiche del 1924, compiute sulla base della nuova legge che prevedeva un forte premio di maggioranza allo schieramento vincente, non lasciavano equivoci sull'estraneità del fascismo nella provincia. Alla lista d'ispirazione fascista che, nel complesso d'Italia, aveva ottenuto il 65% dei suffragi, sul totale di 105.706 voti ne erano andati solo 22.244, collocandosi terza dopo quella tedesca (33.115) e quella popolare (25.788); un notevole successo avevano ottenuto anche i socialisti ed i repubblicani nel Trentino. Per i popolari risultarono eletti Degasperi (con 15.810) preferenze) e Carbonari, per i socialisti Avancini e, per la lista fascista, Gianferrari e Lunelli. Mussolini non dimenticherà mai questo risultato facendolo pagare soprattutto con l'abbandono economico del paese.
L'attacco fascista alla più consistente delle forze avversarie del Trentino s'incentrò su Alcide Degasperi, segretario del PPI (Partito popolare italiano), dopo che i popolari erano stati licenziati dal governo. Contro il deputato che difendeva le prerogative del Parlamento, venne scagliata nell'ottobre 1924 una campagna denigratoria sulla stampa nazionale con, al centro, l'accusa di "austriacantesimo". Molte furono le voci che si alzarono in difesa della figura morale e dell' "italianità" di Degasperi. Ma queste voci, già compromesse dalla censura e dai sequestri della stampa, erano destinate a ridursi al silenzio con l'avvento dello stato totalitario.