A Roma il 13 settembre 1961 il presidente del Consiglio Mario Scelba insediò una commissione di 19 esperti, composta dai rappresentanti del governo italiano, dei partiti trentini, degli altoatesini e dei ladini, che aveva il compito di rivedere lo statuto del 1948, adeguandolo alle nuove richieste. La commissione lavorò tre anni in maniera molto intensa, compiendo frequenti viaggi nella regione per incontrare gli esponenti locali della vita politica e civile e discutere con loro una nuova forma possibile dell'autonomia. Al termine di questo lungo lavoro, nel maggio 1964, la commissione presentò al governo italiano una lunga relazione, che in sostanza prevedeva il mantenimento dell'ente regionale, come elemento di raccordo tra le due province di Trento e di Bolzano, anche se alle due province venivano delegate molte competenze in vari settori.
Nel settembre 1966 il governo italiano, presieduto da Aldo Moro, dopo una fitta serie di colloqui bilaterali con Vienna, approvò una serie di misure, passate sotto il nome un po' singolare di "Pacchetto", che modificavano in maniera sostanziale lo statuto originario dell'autonomia.
Le norme del Pacchetto recepivano fondamentalmente le proposte della commissione dei 19, in quanto molte competenze venivano trasferite dalla Regione alle due province di Trento e di Bolzano, anche se l'ente regionale non era del tutto svuotato delle sue prerogative. Come allora si disse, la Regione venne ristrutturata in maniera da creare due case sotto uno stesso tetto.
Il Pacchetto si concludeva con un "calendario operativo", che definiva modi e tempi della realizzazione delle nuove disposizioni. Innanzi tutto andava elaborato e promulgato dallo stato italiano un nuovo statuto di autonomia. In secondo luogo si sarebbe formata una commissione di dodici membri per stendere le norme di attuazione del nuovo statuto di autonomia, che avrebbero dovuto essere emanate entro due anni dalla sua approvazione. Infine, dopo il varo dell'ultima norma, l'Austria, riconosciuta Paese tutore dell'Alto Adige, avrebbe dovuto rilasciare la cosiddetta "quietanza liberatoria", che avrebbe posto fine alla controversia dell'Alto Adige, oggetto delle risoluzioni dell'ONU.
Mentre tra Roma, Vienna e Bolzano si veniva delineando un preciso triangolo diplomatico, a Trento negli ambienti politici crescevano i timori per un'emarginazione del Trentino dal quadro istituzionale dell'autonomia. A questi timori però rispose in maniera energica Bruno Kessler, nominato nel 1960 presidente della Giunta provinciale di Trento, che impresse alla sua amministrazione un impulso decisivo sulla via della modernizzazione, tanto da far scrivere alla stampa che il Trentino, come l'America di John Kennedy, si stava muovendo verso una "nuova frontiera" di benessere e di crescita culturale. Da allora si iniziò a parlare di programmazione economica ed urbanistica, che coinvolse illustri docenti universitari, incaricati di elaborare il "Piano urbanistico provinciale" (PUP), allo scopo di programmare lo sviluppo del territorio sulla base delle risorse e dell'aumento della popolazione, proprio in un momento storico in cui il "boom" stava raggiungendo il suo apice, mettendo tuttavia in evidenza anche i primi segnali negativi, che allora significavano caos edilizio, inquinamento, degrado ambientale, consumismo esagerato, di cui si iniziò a dibattere anche sulla stampa. Dopo lunghe discussioni in aula, il PUP venne approvato nel settembre 1967 e nello stesso anno nacquero anche i comprensori primi in Italia che raggruppavano i paesi di una stessa valle (ora ve ne sono 11) e che avevano la funzione di razionalizzare le spese della Provincia per gli investimenti soprattutto nel campo della sanità, della medicina di fabbrica, dell'edilizia popolare e dell'organizzazione scolastica. Molti trentini, a dire il vero, non considerarono il comprensorio come elemento rappresentativo della propria storia e come strumento necessario per la crescita civile alla pari, ad esempio, del comune, bensì come una sovrastruttura; perciò si accesero vivaci dibattiti anche tra la popolazione, segno dell'intensità con cui venivano sentiti taluni problemi.
Molto più estesa e partecipata fu, invece, la discussione sul progetto di creare a Trento l'università. La "voglia di università" aveva radici lontane, risalendo ai tempi della scuola di giurisprudenza fondata a Trento da Calepino dei Calepini nel XV secolo e poi al tentativo del cardinale Cristoforo Madruzzo di erigere uno "studium generale" a Trento nel 1553, fino all'importante cattedra di Diritto civile tenuta, sempre a Trento, da Carlo Antonio Pilati e da altri insigni docenti nell'epoca illuministica e soprattutto alle lotte sostenute dai trentini fra Otto e Novecento per la creazione di una università italiana in Austria.
Nel secondo dopoguerra si era tentato di supplire a questa mancanza con l'istituzione di corsi estivi dell'università cattolica di Milano al Passo della Mendola (marzo 1954) e con la creazione a Trento di un Centro studi dell'università di Bologna (maggio 1954), dove si tenevano periodicamente cicli di conferenze su temi a carattere culturale.
L'impulso determinante per elaborare un progetto organico di università venne dato però dalle circostanze politiche legate al problema dell'autonomia. Come ricordò lo stesso Kessler, quando l'autonomia speciale di tipo regionale entrò in crisi, lasciando prevedere attraverso il Pacchetto la piena autonomia concessa alla provincia di Bolzano, allora agli amministratori del Trentino si pose il grave problema di evitare per la loro provincia la caduta di prestigio cui Trento sarebbe andata incontro con lo smembramento della regione. Da qui l'impegno per la realizzazione dell'università, che avrebbe dovuto non solo far lievitare culturalmente la società trentina, ma anche distinguersi dagli altri atenei italiani per la novità della proposta e per il piano degli studi. Per questi motivi venne scelta come prima facoltà quella di Sociologia. La figura del sociologo, infatti, era nuova nel panorama culturale italiano.
Il 27 luglio 1962 il Consiglio provinciale approvò il disegno di legge che creava l'ITC (Istituto trentino di cultura), un organismo appoggiato da vari soci fondatori, che avrebbe dovuto garantire all'università trentina la sua autonomia amministrativa. Qualche giorno dopo, il 31 luglio, con un solo voto contrario e un'astensione, venne approvato anche il disegno di legge che dava il via al "Libero Istituto di Scienze Sociali", inaugurato solennemente il 14 novembre, alla presenza dei più bei nomi del mondo accademico nazionale e in un'atmosfera di goliardia contenuta.
Ben presto però tra la popolazione locale iniziarono a manifestarsi perplessità e diffidenze nei confronti dell'università, sia per la mancata definizione degli sbocchi professionali, sia per il crescente afflusso di giovani provenienti da fuori, che creavano qualche problema alla tranquilla vita di provincia. Di lì a pochi anni, queste diffidenze si tramuteranno in aperta ostilità, quando cioè gli studenti, anche a causa degli eventi politici nazionali ed internazionali, daranno inizio alla cosiddetta "contestazione globale" al sistema.