Le due lettere di Vigilio contengono molti dati di cronaca, ma sono principalmente un documento di canonizzazione dei tre missionari uccisi dai pagani in Anaunia. Nel leggerle, occorre tener conto del modo come nasceva e si strutturava a quel tempo il culto dei santi. Esso sorgeva ad opera delle singole chiese ed era strettamente localizzato. Ogni chiesa aveva i suoi martiri e santi propri e li venerava non dovunque, ma nel luogo contrassegnato dalla loro sepoltura. Il vescovo Vigilio, più che ordinare con un decreto disciplinare il culto da attribuire ai tre missionari uccisi, tende a esplicitare le ragioni profonde che nella loro uccisione fanno vedere dimensioni ben più alte che quelle di un incidente banale e tragico. Ciò che nella loro vicenda traspare è l'identificazione dei martiri con la dedizione suprema di Cristo, nel mistero della sua morte e della sua risurrezione. Questo si è manifestato in un momento concreto e in un luogo preciso della presente società umana. Ed è il motivo per cui la comunità intera venera e assume come propria la loro memoria. Il titolo di martire che viene così attribuito è essenzialmente un titolo cultuale, che tende a dimostrare, più che la materialità dell'uccisione, il valore e l'onore intrinseco dell'atto, l'affiorare di un momento salvifico che nel fatto è contenuto. La ragione del culto è tutta qui. Rispetto a questa categoria di canonizzazione che in termini tecnici si esprime come imitatio, cioè assimilazione imitativa di Cristo, Vigilio sembra quasi dimenticare l'altro elemento che si suol considerare oggi tanto importante per i santi, cioè la intercessio, la loro capacità di operare. Difatti neppure un miracolo narra Vigilio dei santi che canonizza! Al culto dei santi dell'epoca antica appartiene essenzialmente il sepolcro. Perciò la ricerca della sua localizzazione è estremamente importante. La testimonianza degli Atti di S. Vigilio diventa a questo proposito risolutiva. Nella Trento del VI secolo esiste in area cimiteriale fuori delle mura una costruzione memoriale ossia di ricordo, dove riposano i corpi dei tre martiri. L'autore degli Atti la denomina con un termine speciale, distinto da quello che designa la ecclesia urbana localizzata all'interno delle civiche mura, dove il vescovo risiede, presiede la liturgia domenicale ed esercita la sua attività pastorale ordinaria. L'edificio fuori delle mura invece è chiamato basilica, con un termine già usato da S. Vigilio quando enunciava la sua intenzione di erigere sul luogo dell'uccisione dei martiri un sacello commemorativo. Il nome sta ad indicare una funzione distinta di culto, rispetto a quella della ecclesia, appunto il culto che si esprime nella visita devozionale sul luogo dei santi, con i caratteristici atti di ossequio che hanno il loro momento saliente nel dies natalis, cioè nel giorno anniversario della loro morte o della loro traslazione.
Tutto questo ha un valore indicativo anche sull'origine del culto di S. Vigilio stesso, che non ha a suo vantaggio documenti così belli come quelli che egli aveva pubblicati per il culto dei tre martiri. Lo stesso testo degli Atti accerta che nella basilica, fuori Porta Veronese, si venerava con solenne culto anche il suo sepolcro. Una sepoltura accanto ai martiri era molto apprezzata e ricercata da tutti nell'antichità cristiana. Qui tuttavia c'è qualcosa di più e si collega ancora una volta al modello di S. Ambrogio. Si sa infatti che Ambrogio, mentre stava costruendo poco fuori le mura di Milano la basilica che ancor oggi porta il suo nome, rinvenne, in un cimitero discosto, i corpi di due martiri dell'ultima persecuzione, Protaso e Gervaso, e nell'anno 386 li trasferì solennemente nella basilica che stava costruendo, facendosi poi seppellire accanto a loro. Qualcosa di analogo successe qualche anno prima a Vercelli, quando il veneratissimo vescovo Eusebio fu sepolto anche nella basilica che quello stesso sant'uomo aveva un tempo fatto costruire accanto alle spoglie di un martire orientale, Teonesto, che egli aveva portato con sé al ritorno dal suo lungo esilio. Sono questi i modelli con cui si va costruendo in quegli anni il culto di grandi vescovi che hanno lasciato una nobile impronta e un ricordo di venerazione nella loro chiesa. La canonizzazione di Vigilio è avvenuta mediante una associazione, anche materiale, delle sue spoglie a quelle dei martiri da lui guidati e glorificati, con una operazione che anche la generazione odierna può riconoscere moralmente valida e significativa. Le sue due lettere attestano una comunione di intenti e una associazione spirituale con loro, che non potrebbe essere più intensa.
Sta di fatto che, da allora in poi, il culto di Vigilio viaggia per il mondo insieme a quello dei tre martiri: reliquie dei quattro santi trentini si venerano nella chiesa di S. Andrea a Ravenna verso la metà del secolo VI; lo stesso gruppo, con Vigilio denominato confessor, si riscontra a Verona, presso la chiesa di Sant'Elena, verso la metà del secolo IX; nel 1027 il diploma dell'Imperatore Corrado II conferma i diritti di contea "alla santa chiesa di Trento nella quale riposano i preziosi corpi santi dei martiri Vigilio, Sisinio, Martirio e Alessandro". Vigilio, dunque, si trova associato anche nella qualifica cultuale di martire, dalla quale si è generata la leggenda del suo martirio in Rendena, ricalcata un po' sui moduli del martirio di Anaunia del 397. Si è trattato ovviamente di una copia deteriore, perché la figura aggressiva del Vigilio che abbatte l'idolo di Rendena e guarda in modo truce i suoi uccisori è molto diversa da quell' autoritratto che egli dà di se stesso nelle Lettere.
I recenti scavi sotto il Duomo di Trento hanno largamente confermato il quadro sopra esposto. Resti cospicui di una grande basilica cimiteriale del VI secolo attestano ampiamente l'esistenza di una costruzione di tipo martiriale, occupata da un sistema unitario di tombe impostate sulle coordinate dell'antica sepoltura dei santi. Le ultime indagini sulla struttura dell'edificio stanno evidenziando fasi costruttive più antiche che potrebbero riportare agli inizi del V secolo il primo impianto di un'aula cultuale di grandi proporzioni. La trasformazione in chiesa cattedrale negli anni intorno al 1000 e la sostituzione totale dell'antico edificio con l'attuale Duomo duecentesco, non dovrebbero far dimenticare questo santuario insigne dei martiri trentini, unico nel suo genere per lungo tratto dell'area alpina.
Dei successori di S. Vigilio fino al vescovo Eugippio, ricordato nell'iscrizione pavimentale del Doss Trento e databile intorno all'anno 520, si possiedono solo i nomi, grazie al solito catalogo del secolo XI. I primi due, Claudiano e Magorio, sono citati come fratelli di S. Vigilio negli Atti semi-leggendari. Ciò potrebbe indicare forse una successione entro l'orbita familiare di colui che gli Atti stessi descrivono "cittadino di Trento, di stirpe romana". Ma ormai manca il confronto con le fonti validissime della prima serie. Ed ogni congettura diventa sfuggente.