Trento conciliare: fra Italia e Germania, papato e impero

05/09/2014 Administrator User
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Trento conciliare: fra Italia e Germania, papato e impero
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Dopo gli sforzi del Clesio perché Trento fosse designata quale sede del Concilio che doveva ricomporre le fratture generatesi entro la cristianità e indire un'opera di riforma da opporre alle accuse lanciate dai protestanti alla chiesa di Roma, nella dieta di Spira del 1542 tale scelta si impose sulla candidatura di altre città dell'Italia settentrionale proposte dalla curia papale. Gli elementi che avevano fatto decidere per Trento furono essenzialmente quelli che fin dal 1524 aveva espresso Carlo V e che il cardinale Bernardo, principe tridentino, aveva calorosamente sostenuto durante il suo episcopato: l'appartenenza della città al corpo romano germanico e nello stesso tempo la sua componente italiana, il fatto di essere cioè situata alle soglie dell'impero, a stretto contatto con quella cultura tedesca entro la quale era sorta l'opposizione al papato. A questo ruolo di cerniera, riscoperto in tempi recenti, dopo la caduta dei nazionalismi, il territorio trentino fu e rimase sempre legato anche contro la sua stessa volontà, ricevendone di volta in volta, attraverso le diverse stagioni della storia, linfa culturale o motivo di contrasti etnico-politici.
Dall'ingresso in città dei messi pontifici nel novembre del 1542, per prendere conoscenza dei problemi logistici legati alla prossima presenza nella piccola capitale del principato di un così numeroso e prestigioso consesso, fino all'apertura effettiva dell'assise intercorsero tre anni. Il Concilio venne infine inaugurato nel dicembre del 1545, alla presenza di una trentina di vescovi presieduti dai legati papali. Le energie che profuse il principe vescovo e da poco cardinale Cristoforo Madruzzo per accogliere gli illustri ospiti, che poi aumentarono a una settantina tra vescovi e teologi, furono molte. Quando Paolo III cogliendo l'occasione del diffondersi di un'epidemia nel marzo del 1547 spostò il Concilio a Bologna, per ricondurlo anche geograficamente sotto l'influenza papale, molti prelati rimpiansero l'ospitalità tridentina. Quanto a Cristoforo, convinto interprete del ruolo di mediatore fra Roma e l'impero, già nelle prime sedute aveva espresso convinzioni dogmatiche che lo esponevano pericolosamente dal lato dell'ortodossia e che incontrarono logicamente l'opposizione dei legati papali, in particolare di Giulio Del Monte, il futuro papa Giulio III. Una posizione politicamente e teologicamente scomoda quella di Cristoforo, aggravata dalla sua amicizia con il cardinale inglese Reginald Pole e con altri prelati che caddero poi sotto le mire dell'Inquisizione, mentre il suo segretario Jacopo Acconcio sarebbe addirittura fuggito in Svizzera abbracciando la fede riformata.
In seguito alla vittoria sulla lega protestante nel 1549 a Mühlberg Carlo V, ritenendo possibile grazie al successo delle sue armi addivenire a quella ricongiunzione del corpo cristiano che egli inseguiva da tempo, fece pressione su papa Giulio III per una ripresa dei lavori conciliari nella medesima città che ne aveva ospitato la prima fase. L'assemblea che riprese i lavori a Trento nel maggio del 1551 si presentava a ranghi appena più ridotti della precedente, ma vedeva al contempo la presenza di illustri personalità, come i tre arcivescovi elettori dell'impero. Gli sforzi del cardinale tridentino per rendere gradita la permanenza alle autorità ecclesiastiche furono anche questa volta encomiabili, mentre Cristoforo in tale occasione interpretò con maggior autorevolezza il ruolo di prelato rappresentante il punto di vista imperiale, facendo inoltre da tramite fra gli osservatori mandati dai principi protestanti e l'assemblea.
Così come gli eventi di Germania avevano fatto riaprire sotto buoni auspici il Concilio a Trento, l'evolversi degli stessi in maniera sfavorevole a Carlo V, cioè il riaprirsi delle ostilità e il mutamento di fronte di Maurizio di Sassonia, decretò nell'aprile del 1552 quella che sembrava ormai una sua definitiva chiusura. Ci si avviava verso l'esaurimento del ‘decennio dell'imperatore', quando i suoi progetti pacificatori e la costituzione di un impero universale cristiano erano sembrati vicini alla realizzazione. La pace di Augusta del 1555, con il suo tentativo di introdurre una norma nelle scelte religiose dei sudditi, sanciva quello che era un dato di fatto e cioè la definitiva scissione confessionale all'interno della compagine romano-germanica.
Le mutate condizioni politiche europee e il lungo periodo di sospensione tra la seconda e la terza fase conciliare – aperta a dieci anni di distanza, nel 1562 – giustificavano il fatto che ci si fosse interrogati sull'opportunità o meno di considerare la riconvocazione dei vescovi cattolici come la prosecuzione del Concilio tridentino. Dell'ambizioso progetto di Carlo V non vi era più traccia ormai: le fedi riformate si stavano ora diffondendo ampiamente anche al di fuori dell'ambito germanico, mentre i possedimenti spagnoli e quelli imperiali erano stati divisi tra i due rami degli Asburgo. In condizioni politiche così profondamente mutate, il vecchio interprete delle aspirazioni di Carlo V, Cristoforo Madruzzo, era ormai fuori gioco. Egli rimase a Roma lasciando al nipote Ludovico, coadiutore a Trento e per l'occasione creato cardinale, l'incombenza di accogliere i rappresentanti di una chiesa, la quale non mirava più a guadagnare i dissidenti, ma voleva portare a compimento il dibattito in materia dogmatica e stabilire i modi e i termini di una profonda riforma del corpo cattolico.
Fu in questa terza fase (1562 - 1563) che la città di Trento dovette sostenere gli oneri maggiori nel ricevere un consesso il quale vide presenti oltre duecento vescovi e una quantità di teologi e di componenti le diverse legazioni, così da far aumentare di circa duemila persone una città di poche migliaia di abitanti.

Da
1542
A
1563
Personaggi
Carlo V , Bernardo Clesio , Giulio III , Cristoforo Madruzzo , Paolo III
Codice
48634
codici_personaggi_as_text
50406-50409-50442-50458-50626
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