Nel I sec.a.C. il processo di romanizzazione andò intensificandosi, come dimostra l'iscrizione di Marco Apuleio, risalente al 23 a.C., attualmente murata in una lesena esterna della chiesa di S. Apollinare, a dimostrazione che Tridentum (l'attuale Trento) era già un centro politico-amministrativo ben organizzato. Tuttavia non sono chiare le vicende relative alla fondazione della città: forse esisteva già prima del 90-89 a.C. quando avrebbe assunto i caratteri propri di una colonia latina, trasformatasi poi, dopo il 49-42 a.C., in municipium.
Quando i Romani fondavano una città, facevano innanzitutto un sacrificio seguito dall'auspicium, che derivava dall'osservazione del volo degli uccelli. Veniva poi fatto il rito del sulcus primigenius, cioè veniva tracciato un solco da una coppia di buoi aggiogati e guidati dal fondatore.
La città, circondata da mura, veniva dotata di tutte le infrastrutture tipiche del mondo romano in modo da poter assolvere alle necessità civili e religiose della popolazione, nonché a quelle legate allo svago e al divertimento. Era sempre presente un Foro, cioè una piazza, generalmente posta al centro dell'abitato, dove vi erano gli edifici in cui si svolgevano le attività civili e religiose; ed inoltre un tempio dedicato alla triade capitolina o alla casa imperiale. Un ruolo importante avevano anche le strutture adibite allo svago, quali l'anfiteatro e le terme.
Tridentum aveva una pianta quadrangolare, di cui un lato era costituito dal tratto dell'Adige che passava, fino alla seconda metà del XIX secolo, in corrispondenza delle attuali via Torre Verde e via Torre Vanga. Sugli altri tre lati era difesa da mura, di cui sono stati trovati vari resti, ad esempio in vicolo dell'Adige, sotto il magazzino Nicolodi; in piazza Cesare Battisti, in prossimità della scena del Teatro Sociale; in via Mantova, sotto l'attuale negozio Sportler; in piazza Duomo, sotto il museo Diocesano; in via Rosmini, presso l'istituto S.Cuore. Si è così potuta calcolare la lunghezza di ogni lato: 400 metri quello orientale, 390 quello meridionale e 335 quello occidentale. La città, estendendosi così su 13 ettari di superficie, poteva contare circa 5000 abitanti.
Su ogni lato c'era una porta di cui non sono rimaste tracce, tranne in un caso, quello della cosiddetta Porta Veronensis (il nome compare nella "Passio Sancti Vigili", un testo del VII sec.d.C.), i cui resti sono visibili sotto il Museo Diocesano, in piazza Duomo.
Si tratta di una costruzione risalente al I sec.d.C., gemina, costituita cioè da due fornici (aperture) esterni e due interni destinati, rispettivamente, al passaggio dei pedoni e a quello dei carri. Ai lati vi erano due torri con sedici lati ciascuna, dotate di un alzato in mattoni e rivestimento di lastre di pietra rossa come il basamento. Dalle torri partivano le mura, che avevano una particolarità dal momento che, ad un primo muro formato da ciottoli legati con la malta, ne fu aggiunto un altro, in un secondo momento, costituito da pietre e grossi ciottoli.
Paralleli alle mura vi erano dei fossati, ulteriore difesa della città e canali di scarico delle fognature.
Inoltre vi erano due strade principali, secondo un impianto tipicamente romano: il cardo, da nord verso sud, e il decumano, da est a ovest, che si tagliavano ortogonalmente. Tutte le altre strade erano parallele alle due principali e prendevano il nome di cardi e decumani minori.
In via Belenzani, sotto palazzo Thun, sono stati individuati i resti del cardo massimo. Resti analoghi, nonché quelli relativi a un decumano minore, sono stati rintracciati sotto palazzo Malfatti, sulla stessa via.
Resti del decumano sono invece stati individuati sotto via Manci e via Roma.
Lungo il fianco meridionale della chiesa cinquecentesca di S.Maria Maggiore, tra il 1974 e il 1977, sono state fatte delle indagini che hanno permesso di trovare alcuni elementi decorativi in marmo e un ampio lastricato di pietre rosse con un tamburo di colonna. Ciò porta a ritenere che lì vi fosse un qualche edificio adibito a luogo di culto.
Numerosi sono i reperti riferibili ad abitazioni, per lo più domus (case signorili, riccamente decorate), affiorati nel centro cittadino.
Sotto palazzo Tabarelli, in via Oss Mazzurana (attuale Banca Calderari) ad esempio, sono stati riportati alla luce i resti di vari ambienti che si affacciavano su di un cardo minore, nonché vari oggetti di ceramica, vetro, anfore, monete.
Durante gli scavi per la ristrutturazione del Teatro Sociale, tra il 1990 e il 1994, è stato scoperto un intero quartiere in cui, oltre ad un ampio tratto di un decumano minore (della larghezza di 8,50 m.), è stato individuato uno spazio aperto, circondato di portici sui quali si affacciavano ambienti vari, utilizzati forse per funzioni pubbliche e commerciali. Molto interessanti altri resti tra cui un pozzo e strutture abitative, dotate di impianti di riscaldamento e ricche decorazioni pavimentali (mosaici).
Anche nella zona limitrofa alle mura, sia all'interno che all'esterno, in particolare in corrispondenza dell'attuale via Rosmini, vi sono i resti di varie strutture, tra cui quelli di un'ampia domus, risalente al II sec. d.C. Qui, oltre ad un sistema di riscaldamento analogo a quello rinvenuto presso il Teatro Sociale, è stato riportato alla luce un mosaico rappresentante il mito di Orfeo, che ha diverse analogie con uno trovato a Rimini, in piazza Ferrari, soprattutto per l'impostazione a nido d'ape entro un cerchio, con figure singole all'interno di un esagono. La presenza di una struttura abitativa così ampia e riccamente decorata, al di fuori delle mura, dimostra il grande sviluppo che la città ebbe in questo periodo.
All'esterno della città, secondo la consuetudine romana, era stato costruito un anfiteatro, che misurava 72x48 metri, di cui rimangono tracce in via S.Pietro, nella piazzetta chiamata "Anfiteatro" e nel vicino vicolo degli Orbi dove, nel 1998, è stato individuato un tratto di pavimentazione.
Sempre al di fuori della cinta muraria sono state ritrovate numerose sepolture, in piazza della Mostra, in via Galilei, via S.Maria Maddalena, in piazza A.Vittoria, ecc.
Una necropoli vera e propria, composta da una trentina di sepolture, la necropoli "Ai Paradisi", è stata scoperta casualmente alla fine del 1800, in occasione dei lavori di sterro per la costruzione dell'allora ospedale militare, nell'area compresa tra via Barbacovi e via Giovanelli.
La scoperta di sepolture risulta sempre molto importante per comprendere gli usi e costumi di una popolazione.
In epoca romana i riti funebri avvenivano sia in base alla cremazione, sia all'inumazione, che divenne dominante a partire dal II sec.d.C.
Nel primo caso le ceneri del defunto, contenute in un'urna funeraria di ceramica o di vetro, erano deposte in una fossa terragna oppure in una cassetta litica o in muratura, di forma quadrangolare, con nicchie parietali portaoggetti. In area alpina, talvolta, erano messe nella cosiddetta "tomba alla cappuccina", formata da due tegoloni posti verticalmente a sostegno di quattro o sei disposti a doppio spiovente.
Per le sepolture basate sul rito dell'inumazione, oltre ai tipi usati per la cremazione, di cui variavano solo le dimensioni, vi era il cassone monolitico spesso con copertura a doppio spiovente.
Nella necropoli "ai Paradisi" sono state rinvenute tombe di vario tipo. Interessante è la tomba ad inumazione, costituita da una cassa di piombo, da cui sono affiorati i resti di una giovane donna di 12- 13 anni. Si tratta della cosiddetta "tomba della bambolina", chiamata così per il rinvenimento al suo interno di una bambola in osso.
Questo reperto è molto interessante per la sua struttura, in quanto sia le braccia che le gambe sono articolate mediante dei perni che le collegano al tronco. Un oggetto di questo tipo era generalmente posto nelle tombe delle giovani morte prima delle nozze, che avvenivano intorno ai 13/ 14 anni.
L'uso del piombo per realizzare le sepolture è piuttosto raro, (le notizie più antiche risalgono al II sec. d.C.) ed è indice, da un lato del desiderio di mantenere incorrotto il più a lungo possibile il corpo della defunta, e dall'altro dell'elevata condizione sociale ed economica della famiglia di appartenenza.
Nelle sepolture erano posti vari oggetti costituenti il corredo che doveva accompagnare il defunto nella vita ultraterrena e che ne rappresentava le caratteristiche economiche e sociali manifestate durante la vita. Generalmente ne faceva parte un servizio da mensa composto da una bottiglia per liquidi, un piatto o una scodella, in ceramica, in vetro o in bronzo. Nelle tombe rinvenute in Trentino è stato spesso trovato anche l'Henkeldellenbecher, un boccale che presenta una depressione funzionale in corrispondenza del manico e che trae origine da modelli preromani retici. Ciò sembra dimostrare la persistenza in epoca romana di alcuni caratteri propri della cultura retica.
Faceva sempre parte del corredo la lucerna, cioè una lampada ad olio, che poteva assumere diverse fogge a seconda delle officine, generalmente padane, in cui era prodotta. Le più frequenti erano quelle a volute del I sec.d.C. e quelle a canale o Firmalampen, realizzate per lo più nel II sec.d.C. e diffuse in tutta l'area alpina.
Talvolta nelle tombe, secondo un'usanza locale, si sono trovate anche delle fibule, cioè delle spille in bronzo, usate sia dalle donne che dagli uomini per fermare i mantelli. Questi monili potevano avere diverse forme a seconda della moda' e dell'epoca in cui venivano realizzati. Le più frequenti rinvenute in territorio trentino sono quelle ad arco profilato, tipiche dell'Europa centro- orientale e diffuse tra il I e il III sec.d.C. Diversi sono anche gli esemplari di fibule tipo Aucissa, prodotte tra il I sec.a.C. e il I sec.d.C., presenti in una vasta area che va dalla Spagna al Caucaso, dall'Italia alla Scandinavia. Sono state trovate anche fibule a tenaglia, prodotte soprattutto nell'Italia settentrionale alpina, tra il I e il V sec.d.C. e diffusesi in tutto l'Impero.
Singolare è l'usanza di mettere nelle sepolture almeno una moneta, in base alla convinzione che il defunto dovesse pagare un obolo per essere traghettato nel regno dei morti. Non mancavano poi balsamari in vetro, di varia forma e colore, destinati a contenere profumi o olii aromatici, oggetti d'ornamento o personali come la bambolina citata.