Fu il padre di Cristoforo, Giovanni Gaudenzio, nobile tridentino in ascesa, al servizio di Bernardo Cles e ben introdotto alla corte degli Asburgo, ad aprire la strada all'affermazione del casato dei Madruzzo, i quali avrebbero retto il principato di Trento per oltre un secolo, passandosi la dignità vescovile da zio a nipote per ben tre volte.
Nato nel 1512, dopo aver accumulato una quantità di cariche e di prebende ecclesiastiche tra cui i canonicati ad Augusta e a Salisburgo oltre ai titoli di canonico e poi di decano nel capitolo tridentino Cristoforo Madruzzo venne eletto senza alcuna opposizione interna principe vescovo di Trento alla morte di Bernardo Cles, nel 1539. Era soltanto suddiacono: compì i gradi successivi di diacono, presbitero ed episcopo solo nel 1542, quando conseguì il titolo di coadiutore con diritto di successione nel principato vescovile di Bressanone, immediatamente prima della morte dello zio Christoph Fuchs von Fuchsberg. Nel 1545, in concomitanza con l'inaugurazione a Trento del Concilio, egli ottenne la porpora cardinalizia, peraltro ufficiosamente già conferitagli in precedenza.
L'epoca di Cristoforo segnò l'apice della potenza economica dei Madruzzo, i quali nell'ambito del principato tridentino godettero di vaste giurisdizioni feudali che si estendevano su gran parte dei domini temporali vescovili. Il patrimonio fu accresciuto enormemente da Cristoforo, che nella sua carriera fu amministratore di terre imperiali e papali e nel 1560 ottenne il marchesato di Soriano e Gallese, nello Stato pontificio.
Per quanto riguarda l'impegno politico, Cristoforo si pose incondizionatamente al servizio del progetto di Carlo V di creare un impero universale cristiano, risuscitando gli ideali dell'antico Sacro Romano Impero. Momento centrale dell'opera di Cristoforo in favore del disegno imperiale fu il suo impegno per la realizzazione a Trento di un grande concilio, che avrebbe dovuto raccogliere l'intero corpo cristiano, compresi i dissidenti, per cercare di sanare le fratture prodotte dalla Riforma protestante e indicare princìpi dogmatici certi su cui rifondare la dottrina dopo le violente critiche giunte da Lutero e dall'area tedesca. Con l'infrangersi del sogno' di impero universale di Carlo V contro gli ostacoli frapposti dai principi tedeschi riformati e a causa dell'ostilità della Francia, venne gradualmente meno il ruolo di Trento quale luogo d'incontro tra Germania e papato e parallelamente si affievolì anche l'attività di Cristoforo Madruzzo presso la curia romana come rappresentante del progetto di quell'Asburgo sulla cui enorme estensione di terre non tramontava mai il sole'.
Non eccezionalmente fornito di doti politiche e piuttosto debole sul piano dottrinario fu vicino alle posizioni di prelati e uomini compromessi con la fede protestante e criticato per questo , di Cristoforo brillarono invece i ruoli di rappresentanza, in un'età in cui peraltro essa aveva comunque un ruolo anche politico. Seppe tessere infatti una rete di relazioni, in particolare attraverso attente scelte matrimoniali, innanzi tutto per la propria famiglia, che imparentò con illustri casati tirolesi e stranieri, quindi per gli stessi Asburgo. Troppo legato alla politica imperiale, Cristoforo ambì senza successo al soglio pontificio nel 1565. In precedenza era stato per un breve periodo governatore di Milano (1555 1557) ma, non in sintonia con Filippo II e ormai fuori gioco a causa dello spostarsi dell'asse politico cattolico verso la Spagna, aveva finito per stabilirsi a Roma, rivestendo incarichi di media levatura sempre al servizio degli interessi asburgici. Morì a Tivoli nel 1578. A Trento aveva ceduto il potere al nipote Ludovico ancora nel 1567, dopo un'adeguata pressione sui membri del locale capitolo cui spettava la nomina del successore.
La carriera di Ludovico Madruzzo si snodò all'inizio entro i solchi tracciati dall'illustre zio. Nato nel 1532, godette di cospicui benefici e rendite ecclesiastiche, ottenendo tra l'altro un canonicato a Trento e uno a Bressanone. Studiò a Lovanio e a Parigi e di lui fu apprezzata la maggior preparazione teologica rispetto a Cristoforo, che seguì ancor giovane tra Roma e le diete imperiali. Controvoglia i canonici tridentini gli conferirono la carica di coadiutore con diritto di futura successione, che esercitò dal 1550 fino alla nomina a vescovo nel 1567. Per buona parte di questo lungo periodo fu Ludovico a reggere di fatto il principato vescovile di Trento, a causa dei pressanti impegni dello zio, e fu sempre lui a esercitare le funzioni di ospite del Concilio durante la sua terza sessione, dal 1561 al 1563, dopo avere ottenuto in tale occasione il titolo di cardinale.
Il governo temporale tridentino di Ludovico fu travagliato dal decennale sequestro del principato operato dall'imperatore Massimiliano II, a causa delle controversie giurisdizionali in atto con l'arciduca Ferdinando, conte del Tirolo. Alla forzata assenza da Trento corrispose per Ludovico il dispiegarsi di una carriera tanto prestigiosa quanto impegnativa nell'ambito della curia romana. Qui egli esercitò le funzioni di cardinale di curia, presenziando in numerose congregazioni. Suo compito preminente, tra le diverse materie di cui si occupò, fu quello di favorire l'applicazione degli indirizzi conciliari nell'ambito romano-germanico, cercando di recuperare quelle terre all'ortodossia cattolica. In questo senso si può dire che la momentanea privazione del potere temporale a Trento rappresentò per Ludovico soprattutto la rinuncia ai cespiti da esso derivanti, dal momento che comunque i grandi compiti svolti a Roma lo avrebbero verosimilmente tenuto lontano dalla cattedra di San Vigilio. Ciò nonostante, non appena egli venne reintegrato nel possesso del principato tridentino, indisse una visita pastorale nella diocesi, che lo impegnò dal 1579 al 1581. In seguito si recò ancora a Vienna, a Praga, alle diete imperiali, godendo di numerosi titoli e cariche, i cui introiti dovevano inoltre supplire ai minori agi economici rispetto a quelli goduti dallo zio. I forti legami con l'impero impedirono che la sua candidatura al papato negli anni 1590 1592 avesse esiti positivi. Morì a Roma nel 1600: cinque anni prima aveva superato gli ostacoli frapposti dal capitolo tridentino alla nomina del nipote quale coadiutore, che poteva dunque succedergli nel governo del principato.
Carlo Gaudenzio Madruzzo, a differenza dei due antecessori, non ebbe origini regionali. Nacque infatti nel 1562 nel castello di Issogne il Val d'Aosta da Giovanni Federico e Isabella di Challant, il cui matrimonio era stato opera di Cristoforo. Dopo gli studi a Ivrea, Trento, Ingolstadt e Pavia, si munì di titoli e prebende, ottenuti nell'area di provenienza (nella Savoia e in Piemonte) e successivamente a Trento e Augusta, dove sedette nei rispettivi capitoli. La sua carriera ecclesiastica, apertasi sotto gli auspici di Ludovico, iniziò seguendo quest'ultimo a Roma e accompagnandolo alle diete imperiali. A Trento si trovò la strada spianata grazie alle pressioni papali e imperiali esercitate sul capitolo della cattedrale affinché lo postulasse quale coadiutore con diritto di successione. Una carica quest'ultima, che rivestì dal 1595, mentre alla morte dello zio gli subentrò ricevendo la dignità vescovile. Le energie dei suoi primi anni di governo furono da lui spese entro la sede tridentina, mentre le opportunità di affrontare la carriera diplomatica gli si offrirono con maggior lentezza rispetto alle celeri fortune che avevano caratterizzato le esperienze di Cristoforo e Ludovico, benché anche per Carlo Gaudenzio, appena quattro anni dopo la nomina a vescovo, giungesse il titolo di cardinale su intercessione dell'imperatore Rodolfo II. I tempi intanto stavano sempre più velocemente mutando e con essi i rapporti politici sullo scenario europeo: le avvisaglie del catastrofico conflitto religioso che avrebbe sconvolto il continente cancellavano a poco a poco quel sostrato di alleanze e di equilibri che aveva sospinto i Madruzzo verso compiti così rilevanti nell'ambito della politica imperiale.
Nel 1613 Carlo Gaudenzio fu legato papale alla dieta di Ratisbona, ma solo nel 1620 si stabilì, come i predecessori, definitivamente a Roma. Qui, come era tradizione familiare, servì gli interessi austro-spagnoli e fu presente nelle congregazioni cardinalizie. Il fruttuoso tessuto di rapporti con l'ambiente romano fu determinante nel superare la resistenza capitolare tridentina e nel 1622 i canonici furono nuovamente costretti a cedere di fronte alla richiesta della coadiutorìa in favore di un altro Madruzzo. Nel 1629, poco prima di morire, Carlo Gaudenzio trasferiva al nipote Carlo Emanuele la dignità vescovile.
La vita e l'esperienza di governo di Carlo Emanuele Madruzzo, nato egli pure a Issogne nel 1599 e ancor più estraneo dello zio all'ambiente tridentino, possono essere assunte sotto diversi aspetti a esemplificazione sia del declino della sua potente famiglia, che di quello del principato vescovile dopo la stagione rinascimentale e quella conciliare, sia ancora della crisi politica ed economica che attraversò in quegli anni gran parte dell'Europa continentale. Tutto ciò pur nello sfarzo che, quasi per contrasto, caratterizzò anche l'ultima stagione dei Madruzzo. L'epidemia di peste portata nel 1630 dall'esercito imperiale diretto all'assedio di Mantova diede inizio sotto i peggiori auspici all'episcopato di Carlo Emanuele. Successivamente si riaprirono le mai sopite vertenze del principato con la contea del Tirolo, mentre la guerra dei Trent'anni e quella per la Valtellina - quest'ultima pure di matrice religiosa - lambivano rispettivamente le frontiere settentrionali e quelle occidentali della regione. La diplomazia aveva ormai ceduto il campo agli eserciti e Trento da tempo non rappresentava più un possibile luogo di dialogo tra confessioni divergenti. Non vi era più posto dunque per un casato che si era nutrito del ruolo di tramite fra Roma e l'impero e che negli ultimi decenni, in virtù di quel matrimonio valdostano voluto da Cristoforo, aveva inoltre spostato sempre più la propria sfera di interessi familiari verso l'area che faceva capo alla tradizionale oppositrice degli Asburgo, la Francia. Carlo Emanuele visse stabilmente a Trento, non si fregiò del titolo cardinalizio e fu costretto da un lato a resistere alle invadenze tirolesi, dall'altro a rintuzzare gli attacchi del capitolo il quale, non più succube di una famiglia che aveva perso i favori delle corti romana e asburgica, criticò la gestione del vescovo sia a Roma che presso gli organi imperiali, inducendolo anche alla firma di una transazione (1635) che conferiva ai canonici maggior influenza nel governo del principato. Perfino il patrimonio si indebolì a causa di azioni legali intraprese dalla nobiltà concorrente. I Madruzzo inoltre non avevano più eredi maschi e Carlo Emanuele fallì anche nell'obiettivo ultimo di ottenere il ritorno allo stato laicale per garantire la continuità del casato. Con la sua morte, nel 1658 - fu l'unico dei Madruzzo a essere tumulato nella cattedrale di Trento - cessava quello che si può a ragione definire un vescovato ereditario, insieme a un potere familiare il quale non ebbe eguali nella storia del principato tridentino.