Accademia Roveretana degli Agiati di Scienze Lettere ed Arti
L'Accademia degli Agiati nasce nel 1750 per iniziativa di alcuni giovani intellettuali roveretani, cresciuti alla scuola di Girolamo Tartarotti. Nel giro di pochi anni, sotto la guida di Giuseppe Valeriano Vannetti, essa aggrega intorno a sé il meglio della cultura locale, primi tra tutti lo storico Clemente Baroni Cavalcabò e l’erudito Giovanni Battista Graser; pur profondamente radicata nella “piccola patria” roveretana, l’Accademia aggrega inoltre numerosi esponenti del pensiero italiano ed europeo, da Scipione Maffei a Gasparo Gozzi, da Josef Roschmann a Carlo Goldoni. Grazie allo scambio tra un gruppo trainante coeso e dinamico e i numerosi corrispondenti esterni, gli Agiati costituiscono per oltre un ventennio uno dei luoghi privilegiati per la mediazione culturale e linguistica tra Italia e mondo tedesco.
Nel 1753 l’Accademia ottiene il riconoscimento formale dall'imperatrice Maria Teresa, che con sovrano decreto ratifica gli statuti accademici e pone il sodalizio sotto la protezione della casa d'Austria; lo stemma – la lumachina disegnata da Bianca Laura Saibante che, con agio, scala la piramide del sapere – viene incoronato con l'aquila bicipite degli Asburgo. Da questo momento, e fino al secondo conflitto mondiale, gli Agiati potranno sempre fregiarsi del titolo di regia Accademia, mantenendo con lo Stato e i diversi regimi un rapporto formale non sempre facile.
Nell'ultimo scorcio del Settecento l'Accademia vive intorno all'opera e al prestigio del suo segretario, Clementino Vannetti, riducendo progressivamente le proprie attività alle mere occasioni associative; conosce in seguito una brusca sospensione delle attività, in concomitanza con il coinvolgimento del territorio trentino nelle vicende dell'età napoleonica.
La ripresa, nel 1811, si deve all'iniziativa dall'alto del viceprefetto italico a Rovereto, Pietro Perolari Malmignati. Ristabilito il dominio austriaco sul Trentino, due anni più tardi, l'Accademia prosegue indisturbata le proprie attività, celebrando frequenti tornate ed aprendo ulteriormente i propri interessi ai progressi delle scienze. Nel 1813 viene aggregato il giovane Antonio Rosmini, che collaborerà alla vita accademica con diversi contributi originali e con la formulazione di un nuovo statuto, entrato in vigore nel 1825. L'attenzione alle vicende culturali della penisola, verso cui si orienta sempre più l'interesse degli accademici roveretani, è testimoniata dall'aggregazione, nel 1834, di Alessandro Manzoni.
Coinvolta direttamente negli avvenimenti del 1848-1849, anche per il ruolo giocatovi personalmente da diversi soci, per tutta la seconda metà del secolo l'Accademia trova nelle istanze autonomiste e nazionaliste emergenti in Trentino una nuova ragione di aggregazione; al tempo stesso, essa si fa interprete e tutrice del pensiero rosminiano, esaminandone e sviluppandone diversi aspetti nel corso dei propri incontri, difendendone i contenuti nel corso della polemica antirosminiana che percorre tutta la seconda metà dell'Ottocento e nominando a più riprese Antonio Rosmini presidente perpetuo del sodalizio.
Con il 1883 ha inizio la pubblicazione regolare degli "Atti" accademici, destinati ad ospitare memorie originali ed editi ininterrottamente sino ad oggi. A cavallo del 1900 il sodalizio aderisce a un moderato irredentismo, vissuto soprattutto nella ricerca di collaborazione con numerosi esponenti della cultura scientifica e letteraria italiana, da Torquato Taramelli ad Antonio Fogazzaro; a livello locale, l’Accademia raccoglie le più diverse espressioni della ricerca, del sapere erudito e della produzione artistica, in certi casi – come quello di Riccardo Zandonai – individuando precocemente dei talenti, in altri – come nella vicenda dell’aggregazione del pittore Fortunato Depero – premiando con la nomina una carriera già affermata. Alcuni accademici si distinguono a livello nazionale ed europeo: è il caso, per esempio, dei celebri archeologi roveretani Federico Halbherr e Paolo Orsi.
Nel corso del Novecento gli Agiati, pur senza mai interrompere la propria attività né la pubblicazione degli "Atti", sperimentano la crisi di identità che investe la cultura accademica in Italia. La questione si avverte relativamente poco durante il Ventennio fascista: in parte perché – soprattutto nei primi anni – l’Accademia è principalmente impegnata nel ridefinire se stessa e le proprie attività nel quadro del nuovo contesto nazionale; in parte perché il crescente controllo del regime riduce gli Agiati, dagli anni Trenta, a esecutori né troppo zelanti né troppo critici delle indicazioni operative del Ministero della Cultura Popolare. Nel secondo dopoguerra, viceversa, la questione identitaria appare dominante: ad essa gli Agiati dedicano frequenti ed approfondite riflessioni, mentre gradualmente la responsabilità di produrre cultura in Trentino passa a nuove e più aggiornate agenzie e istituzioni. L'impasse viene superata, o forse solo aggirata, nell’ultimo quarto del Novecento, attraverso il recupero della vocazione originaria dell’Accademia come polo di aggregazione di saperi e percorsi diversi e grazie alla progressiva trasformazione del sodalizio in terminale della ricerca e della divulgazione, spesso in collaborazione con il mondo universitario.
Convegni, conferenze, mostre, pubblicazioni monografiche, ma anche progetti di ricerca e collaborazioni scientifiche, sono l’espressione più visibile del nuovo assetto dell'Accademia, sancito nel 1987 con il conseguimento della personalità giuridica e ribadito nel nuovo Statuto del 2001. Se non si può parlare – nel caso di un’istituzione pur sempre basata sul volontariato culturale e sulla libera condivisione del sapere – di “ottica imprenditoriale”, si può dire che grazie al nuovo assetto, e grazie alla sicurezza economica finora assicurata dal patrocinio della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, gli Agiati sono oggi in grado di svolgere le funzioni loro proprie e come tali riconosciute dalla comunità cittadina e regionale: il collegamento e il dialogo con le sedi della ricerca, il coordinamento di iniziative culturali, la gestione del patrimonio accumulato nel corso di due secoli e mezzo di vita.