L'ostinata melodia di bellezza di Silvano Nebl
A 25 anni dalla morte un omaggio all'artista che sente "la pittura come anima del mondo"
"Vedere un mondo in un granello di/sabbia e un paradiso in un fiore di/ campo, tenere l’infinito nel palmo /della mano e l’eternità in un’ora". (William Blake, Auguries of Innocence)
La pittura come anima del mondo di Fiorenzo Degasperi
"Mai poesia fu più appropriata per l’opera di Silvano Nebl. L’artista trova il paesaggio nell’infinitesimamente piccolo, nella consapevolezza che il microcosmo rispecchia il macrocosmo e viceversa. Il suo lavorare nei campi lo porta a contemplare la natura in tutte le sue sfumature stagionali, a vedere il sole nascere e declinare, creando giochi di luce, caldi l’estate, freddi l’inverno. Il celeste del cielo muove dall’indaco delle giornate terse che si staglia sopra le Maddalene e si stempera nell’azzurrino lattiginoso dei giorni in cui il sole si mimetizza nelle nebbie mattutine create dalla gorgogliante presenza del Noce verso la Rocchetta, quando si confonde con l’azzurro delle acque che formano le omonime paludi.
Silvano Nebl è un autodidatta dell’arte. E si forma prevalentemente all’aria aperta, praticando l’arte come prima di lui avevano fatto i pittori della scuola di Barbizon e i Macchiaioli fino agli Impressionisti. È la luce, o almeno la
sua ricerca, che lo fa progredire nella sperimentazione cromatica. Da una figurazione prevalentemente realista, in cui la figura è predominante e la natura segue i contorni del verismo – come nell’opera Veduta di Cles (Maiano) del 1949 o nei lavori esposti al Palazzo Assessorile di Cles, Sala della Colonna, nell’aprile del 1968 –, approderà ad un’esplosione cromatica di forme e di volumi. Non si interessa tanto alle nuove scoperte nel campo geologico, botanico o meteorologico.
La sua natura, vigorosa e intensa, viene identificata come specchio dove si proiettano le emozioni dell’artista
stesso: la creazione di un paesaggio dove il naturalismo viene portato ai confini della percezione ottica. Lentamente
abbandona, o per lui diventano secondari, i ritratti delle persone conosciute, le maternità, la raffigurazione delle attività lavorative, come quel fabbro dalle forti tinte intento a modellare il ferro nella sua fucina, oppure dei cavalli, sebbene quest’ultime opere gli avessero permesso di indagare il mondo delle forme e dei volumi, ovvero la fisicità delle cose.
Si incammina invece sicuro verso il cuore stesso della natura, andando al di là del suo aspetto formale, e per lui vale ciò che Byron dice di se stesso, sono avvezzo a intrecciare i miei pensieri con la Natura nei campi piuttosto che con l’Arte nelle gallerie, scoprendo che la natura ha mille facce, mille spigoli, mille presenze e altrettante assenze".
16/11/2016