La Chiesa dei principi
"Le relazioni tra Reichskirche, dinastie sovrane tedesche e stati italiani (1688-1763)": il nuovo libro di Alessandro Cont giovedì 17 gennaio alle 17 presso l'Archivio provinciale di Trento
L’ultimo libro di Alessandro Cont, introdotto dall’autorevole Prefazione di Elisabeth Garms-Cornides e dalle presentazioni di Mirko Bisesti e di Andrea Merlotti, appare del tutto in continuità con la produzione dell’Autore e la arricchisce di nuove sfumature. Da sempre attento al ruolo delle élites e della loro cultura in relazione alle corti italiane ed europee, qui Cont analizza con dovizia di ricerche d’archivio (altro suo tratto caratteristico) i rapporti tra le dinastie di alcuni stati tedeschi e i vertici della Chiesa del Sacro Romano Impero (Reichskirche) nel tempo che va dagli anni immediatamente precedenti alla Lega della Guerra d’Augusta alla fine della Guerra dei Sette Anni. Il tempo che Paul Hazard, nel 1935, definì come quello della «crisi della coscienza europea» e che la storiografia italiana più recente ha individuato come «età di transizione» per vari fattori, dalla scomparsa di alcune dinastie alla definitiva affermazione del predominio francese; dall’avanzata dei valori dell’Illuminismo al progressivo declino di alcuni ordini regolari (la soppressione dei Gesuiti vide il suo avvio nel 1759).
Tuttavia Cont sceglie un’angolazione differente e piuttosto nuova concentrandosi sugli spazi cattolici dell’Impero nella loro complessa interazione con Roma e con la politica pontificia. È un pullulare di casate sovrane italo-tedesche e di giurisdizioni intrecciate quello che emerge da tale disamina: stati piccoli (città stato, principati ecclesiastici, abbazie) e meno piccoli (la Baviera in primis) intensificarono i loro legami con l’autorità papale sia in difesa del Cattolicesimo sia a promozione delle reti clientelari dinastiche. Dopo la Pace di Vestfalia del 1648, che aveva definitivamente legittimato i principi protestanti, si trattava di funzioni vitali, utili a proteggere la Cristianità anche dalla nuova offensiva dell’Impero Ottomano e a rinsaldare i fili della koinè asburgica.
Un dato evidente sin dalle prime pagine è la forte mobilità di principi e diplomatici, laici ed ecclesiastici, in un’ampia fascia geo-politica europea che fungeva da cerniera tra il Nord del continente e la penisola italiana ancora al centro di interessi territoriali – si pensi all’acquisizione del Granducato di Toscana da parte degli Asburgo-Lorena – e spesso bacino di reclutamento privilegiato per vescovi, abati, nunzi e dignitari di corte. In questa folla di aristocratici che si muovevano agevolmente al di qua e al di là delle Alpi, spiccano tre biografie. La “coscienza delicata” (ma assai abile) di Giuseppe Clemente di Wittelsbach, figlio della notevole Enrichetta Adelaide di Savoia, vescovo di Ratisbona e Frisinga, quindi principe elettore di Colonia e titolare di svariate altre prebende, nonché nipote di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, introduce il lettore in un mondo cosmopolita, poliglotta e itinerante, del quale Monaco costituì un perno essenziale. Deceduto nel 1723, attorno alla sua corte gravitarono aristocratici e dame di rango, fra cui vari esponenti della famiglia veronese dei Verità, e si concepirono panegirici parlanti, come La verità senza velo di quello stesso anno, testimoni di un clima culturale vivo, ancorché rigidamente conservatore. Il suo potere immenso passò al nipote Clemente Augusto, poco ben visto da Benedetto XIV non solo per l’accumulo delle cariche bavaresi, bensì per la sua condotta spregiudicata che lo rese partecipe del libertinismo erudito settecentesco, oltre che degno di una menzione nelle memorie di Giacomo Casanova. Una terza figura, quella del futuro vescovo di Augusta Giuseppe d’Assia-Darmstadt, figlio del governatore di Mantova Filippo langravio d’Assia, esemplifica le strategie ambiziose delle colte stirpi tedesche che, abbandonato il Protestantesimo, si rivolgevano a Roma e all’Italia in generale in cerca di cariche, ma anche di artisti e di musicisti.
Costituiscono il tessuto del volume la complessa diplomazia rococò, contraddistinta da un’etichetta sempre più rigida e da conseguenti problemi di precedenza; le residenze dei principi della “Germania sacra”, vere e proprie “bomboniere in muratura” (così Cont a p. 71) realizzate spesso da maestranze locali e italiane; i molti viaggi, per esempio a Roma o al santuario di Loreto; le strategie nuziali di casate come i Palatinato-Neuburg. Da Colonia, da Bonn, dalle varie città imperiali si creavano ponti con Torino, Verona, Bologna, la Mantova già dei Gonzaga, le terre farnesiane, Firenze e si stabilizzavano quegli “equilibri precari” sui quali, invero, i “principi minori” (fra virgolette i titoli di due capitoli del libro) seppero far leva per far sopravvivere i propri domini nell’Europa delle grandi potenze e in un mondo già globale.
Il solido approccio prosopografico, le note ricchissime di bibliografia italiana e tedesca, lo sguardo saldo sulle ultime tendenze storiografiche rendono dunque il libro di Alessandro Cont uno strumento importante per la messa a fuoco di realtà territoriali non più trascurabili nel panorama della storiografia e indicano una pista di ricerca fruttuosamente europea.
Alessandro Cont, La Chiesa dei principi. Le relazioni tra Reichskirche, dinastie sovrane tedesche e stati italiani (1688-1763), prefazione di Elisabeth Garms-Cornides (“Archivi del Trentino”, 20), Trento, Provincia autonoma di Trento, 2018.
08/01/2019