Life, Still
Lo sguardo sulla guerra del fotografo Alessio Romenzi
La mostra, visitabile presso le Gallerie di Piedicastello fino al 31 marzo, è dedicata a tre città dello stato islamico distrutte dalla guerra: Mosul, Raqqa e Sirte, tre capitali dello stato islamico, tre luoghi devastati dalla guerra. Nella primavera del 2017 Alessio Romenzi è a Mosul, segue e fotografa l'avanzata dell'esercito iracheno.
A raccontare la testimonianza di Romenzi è la curatrice della msotra Giovanna Calvenzi."All'improvviso mi sono guardato intorno" - ricorda il fotografo- "ed è stato come se vedessi per la prima volta quello scenario di distruzione apocalittica".
Sposta l'attenzione dagli uomini e dalle azioni e "vede" quello che lo circonda, quello che la guerra si lascia alle spalle. Il paesaggio di una città che sta morendo lo sconvolge e a operazioni militari finite decide di tornare nelle tre capitali, nei luoghi nei quali è stato testimone delle battaglie più cruente. Sceglie una stagione nella quale il clima è più clemente e la luce meno impietosa e dal dicembre 2017 all'aprile 2018 si reca più volte nelle tre città.
Si dedica a documentare questi terribili monumenti alla stupidità umana e decide di farlo prendendosi il tempo della riflessione e della "contemplazione": disattende il suo consueto modo di testimoniare gli eventi, cerca una luce neutra, non enfatica, sceglie di lavorare con una macchina di grande formato e con la pellicola. Un metodo che implica un rallentamento operativo, che obbliga alla "lentezza dello sguardo", alla riflessione e a utilizzare un linguaggio lontano dalla rapidità del fotogiornalismo che gli è consueta.
Dimentica l'azione, che tanto gli è congeniale, e si dedica a documentare lo sfacelo urbanistico e il dramma delle rovine. Gabriele Basilico nel 1991, quando aveva affrontato il racconto del centro di Beirut devastato da quindici anni di guerra, temeva la "fotogenia della rovina", si sentiva inadatto a raccontare con rispetto la tragedia di una città. Alessio Romenzi invece ha l'esperienza di un testimone che la guerra e la rovina li ha visti nel corso di tutta la sua carriera e tornare nelle città che ha osservato e vissuto come teatri di atrocità, nel silenzio doloroso delle macerie, gli consente di operare con consapevolezza e partecipazione. Si interroga sul senso di fare fotografia oggi, in questi luoghi devastati, sul ruolo che il fotografo ha nel fare informazione ma anche e soprattutto nell'indurre alla riflessione e ai ripensamenti.
"Volevo mettere l'osservatore davanti alla crudeltà della guerra, obbligarlo a riflettere sulle conseguenze che ogni conflitto impone alla vita degli uomini". Nel suo curriculum Romenzi scrive che con il suo lavoro vuole raccontare le conseguenze della guerra sulla gente, sulle vittime dei conflitti.
Da sempre dedica la sua attenzione più agli aspetti umani che alle azioni belliche. Di fronte alla distruzione sistematica delle città, di fronte ai cumuli di macerie e agli edifici feriti dai proiettili pensa a chi ci abitava e a chi forse ci abiterà di nuovo, a pace avvenuta e praticata. E anche qui, nelle tre città martoriate, insegue tracce di vita: i semafori che funzionano, un negozio aperto in un edificio devastato, qualche sporadico passante che diventa la misura dello scempio. Tracce di vita, ma soprattutto insopprimibili esistenze che diventano una reazione alla morte e una speranza di un futuro possibile. Per questo suo nuovo lavoro pensa a un titolo che riassuma il concetto di vita e di morte, e quindi alla traduzione inglese di "natura morta", quello "still life" che apparentemente ne capovolge il senso in "vita immobile". Una traduzione che induce alla speranza e, invertendo i due termini inglesi, usa "life", come esigenza irrinunciabile di ripresa e "still" come riferimento a un'immobilità che è solo momentanea. Perché la vita a Mosul, Raqqa e Sirte ritornerà. Deve. E le immagini di Alessio Romenzi rimarranno una straordinaria e dolorosa testimonianza di un passato che, con l'ottimismo della volontà, non si deve ripetere".
Alessio Romenzi cresce a Colle Sant’Angelo, un paese dell’Appennino umbro. Successivamente si sposta a Gerusalemme e copre le primavere arabe focalizzandosi in particolare su Egitto, Libia e poi Siria, dove è stato uno dei primi fotografi a entrare nel Paese mentre la repressione del regime si faceva sempre più sanguinosa.
Negli ultimi anni ha documentato il fenomeno migratorio verso l’Europa e le guerre che hanno visto contrapposti lo “stato islamico” e gli eserciti dei territori che aveva occupato.Pubblica regolarmente su testate nazionali e internazionali e nel corso degli anni il suo lavoro è stato premiato con il Sony Award, Picture of The Year International, Days Japan Award, UNICEF picture of the year e due World Press Photo.(fonte: Ufficio stampa Fondazione museo storico del Trentino)
17/12/2018