Alpi: la tradizione si innova tra riti di fertilità e cibi collettivi
Il cibo e il Carnevale: un rapporto che coinvolge rituali religiosi con funzione simbolica potentissima di Marta Villa
Nell'area alpina il Carnevale si è sovrapposto quasi ovunque a rituali ben più antichi che celebravano la fertilità della terra, anche attraverso i suoi prodotti. Il cibo, infatti, è componente essenziale della cultura umana e lo vediamo entrare prepotentemente in rituali religiosi con funzione simbolica potentissima.
Anche le Alpi, essendo un territorio interessante dal punto di vista conservativo, permettono la sopravvivenza al proprio interno di eventi comunitari antichi e tuttavia nuovi. La tradizione innovata sia sul piano delle azioni sia sul piano alimentare è significativa perché permette di comprendere cosa una comunità pensi di se stessa e come costruisce continuamente la propria percezione di sé in relazione al mondo esterno.
Il cibo, come anche Expo 2015 ci sta portando a riflettere, è un documento vivo che coinvolge la collettività. Dal 6 gennaio al mercoledì delle Ceneri, e anche oltre come vedremo, le ritualità legate alla terra e alla sua rifioritura sono importanti anche sul piano identitario. Il nome Carnevale festa a tutti nota, a detta degli studiosi, è legato ad un particolare cibo, la carne, che può essere salutata (carnem vale) oppure levata (carnem levare), in entrambi i casi ci si riferisce al periodo successivo, la Quaresima quando la carne era abolita dal calendario alimentare cristiano per preparare l'anima alla Pasqua.
Gli Statuti d Trento ad esempio prescrivevano che i prezzi della carne dovessero essere regolati da un particolare calmiere soprattutto nel periodo carnevalesco quando aumentandone il consumo ne aumentava anche il costo che diminuiva in periodo quaresimale visto che la richiesta scendeva drasticamente.
Per Michail Bachtin il Carnevale, in opposizione alla festa ufficiale, era il trionfo in una specie di liberazione temporanea dal regime esistente, l’abolizione dei rapporti gerarchici, di privilegi, regole e anche tabù. Nell’immaginario comune il Carnevale ha come caratteristica peculiare la possibilità di non sottostare alle regole, anzi di rovesciarle o stravolgerle, per cui erano note fin dall’epoca moderna crida di autorità cittadine per frenare scherzi e burle. Ne abbiamo una, emanata dal Principe Vescovo Sigismondo Francesco d’Austria nel 1663, che imponeva molte restrizioni tra cui quella di non mascherarsi il volto “occultando e nascondendo la cognizione loro”, “ne manco mutare abito over travestirsi” pena il pagamento di “39 ragnesi”, se il malcapitato era trovato senza armi e del doppio se invece le portava.
Molti paesi del Trentino Alto-Adige celebrano il Carnevale mettendo in scena riti e usanze dal sapore arcaico con l’utilizzo di maschere e costumi particolari.
Un tempo Carnevale significava anche trasgressione alimentare, o meglio “grande abbuffata”: infatti venivano organizzate, ora non più, delle vere e proprie gare per vedere chi riusciva a mangiare più polenta, pasta o gnocchi. In tutti i carnevali trentini oggi abbiamo il ricordo di questa usanza mangereccia: vengono distribuiti gratuitamente bigoi o maccheroni al ragù o con le sarde, maltagliati al sugo, gnocchi. I dolci, oltre alla pasta, fanno da sovrani nella festa di ogni paese: abbiamo ricette tramandate per grostoli, fritole, crafuns, krapfen e straboi (o stroboi). Tutti derivati nella preparazione da due elementi semplici, ma nel contempo pregni di simbologia: la farina e l'acqua con l'aggiunta di condimenti vari.
Altro piatto tipico del giovedì grasso è lo smacafam, uccidi la fame, “onto e bisonto soto tera sconto, sconto ‘n te ‘na cassetta se te ‘ndovini ten dago ‘na fieta”: lo smacafam viene cotto sotto la cenere e ha come ingredienti farina bianca, latte, olio, lucanica fresca, pancetta affumicata, burro e sale.
02/02/2015