I santi e le vacche. Chiese di villaggio e allevamento del bestiame nel tardo medioevo

Dalla chiesa del villaggio medievale quale fulcro di una fitta rete di relazioni di carattere economico alla prospettiva di Expo2015: "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Di Emanuele Curzel 

 

[ “© Castello del Buonconsiglio, Trento”]

Molte ricerche sono state dedicate all’allevamento del bestiame in area alpina; particolare attenzione è stata prestata al modo in cui, fin dal medioevo, le comunità montane hanno gestito in modo collettivo la risorsa dei pascoli, delimitando e difendendo le rispettive aree, attrezzandole con recinti, malghe e abbeveratoi, usando direttamente gli alpeggi o affittandoli a imprenditori della pianura. Le carte di regola, che normavano la gestione dei beni comuni, danno preziose informazioni per conoscere queste realtà. Notizie interessanti sullo stesso argomento emergono però anche dai libri di conti delle chiese. I beni di parrocchie e cappelle erano infatti amministrati da “sindaci” o “massari” (amministratori), nominati dalle comunità stesse, che si preoccupavano non solo di riscuotere affitti, di ricevere offerte, di riparare gli edifici sacri e di acquistare quanto necessario per il culto, ma anche di trovare forme di investimento che tenevano conto delle caratteristiche dell’economia locale.

Due libri di conti risalenti agli ultimi anni del XV secolo (quello di Sant’Egidio di Magras in val di Sole e quello di Sant’Andrea di Siror in Primiero) ci parlano in modo particolare della vita di piccole comunità rurali in un’epoca in cui “il modo più efficace di migliorare la redditività di un’impresa era quello di far maggior posto all’allevamento del bestiame” (sono le parole dello storico dell’economia Léopold Genicot). Scopriamo così che gli amministratori della chiesa di Magras avevano affidato a 18 individui complessivamente 22 vacche; se si tiene conto del fatto che Magras aveva (e ha) poche centinaia di abitanti, si capisce che questa concessione riguardava praticamente tutte le famiglie. Non si può parlare, in questo caso, solo di un semplice adeguamento alle forme dell’economia locale ma proprio di una specifica promozione dell’allevamento bovino, operata attraverso la concessione agli abitanti del villaggio di capi di bestiame; in cambio essi dovevano fornire un affitto; a eventuali debiti si faceva fronte con la cessione alla chiesa dei propri terreni, senza però perderne il diritto d’uso. L’ente-chiesa era la persona giuridica, espressione della collettività, che organizzava e garantiva tale meccanismo. Il libro di conti della chiesa di Sant’Andrea di Siror riporta invece numerose voci di entrata e di uscita connesse con l’allevamento di buoi, vacche, vitelli, caure, piegore. Il bestiame veniva comprato, venduto, gestito direttamente o concesso con contratti di soccida; molte annotazioni riguardano anche il commercio di derivati come il formaggio o lo smalzo (il burro).

In entrambi i casi, la chiesa del villaggio appare il fulcro di una fitta rete di relazioni di carattere economico, con specifica attenzione al settore zootecnico: la cosa appare particolarmente significativa perché in quell’epoca cresceva la richiesta di carne, pelli, latticini e conseguentemente c’era una spinta all’intensificazione dell’allevamento dei bovini. Nei libri di conti non troviamo dunque solo la preoccupazione per la dimensione materiale della sacralità ma anche un impegno per far fronte alle necessità economiche (o forse semplicemente alimentari) del villaggio e dei suoi abitanti.

 

Emanuele Curzel - docente di storia medievale presso l'Università degli studi di Trento

09/04/2015