"Mio figlio era come un padre per me", vincitore del premio Scenario 2013
Lo spettacolo che apre "Solsitizio d'estate" in programma domenica 7 giugno alle 21.30 a Mezzorona, Vender legnami: la nostra intervista ai fratelli Dalla Via
La nostra intervista ai fratelli Dalla Via che con "Mio figlio era come un padre per me", vincitore del premio Scenario 2013, inaugureranno "Solsitizio d'estate". L'appuntamento è per domenica 7 giugno alle 21.30 presso a Mezzorona, Vender legnami.
Uno spettacolo che parla di un argomento delicato, il suicidio, nello specifico quello degli imprenditori. Come vi siete avvicinati al tema?
Raccontiamo una storia specifica che si collega a recenti fatti di cronaca. Parliamo di eredità (economica) ed ereditarietà (genetica) e della loro complicata gestione all’interno del conflitto genitori /figli. Quello che ci interessava analizzare è soprattutto la fragilità umana di fronte ai fallimenti in una società competitiva come quella contemporanea. Perché è così difficile ‘celebrare’ le proprie imperfezioni? Questo il nostro primo spunto.
Possiamo avvicinare la vostra riflessione al teatro civile?
Pensiamo che il teatro sia sempre civile, ci sentiamo però più a nostro agio con la parola “politico”. Noi siamo attori ma anche autori del testo, abbiamo "preso parola" e questo ci carica di una responsabilità nei confronti della città, della polis appunto. Il nostro racconto vuole partecipare ed essere partecipato dalla comunità. In tempi in cui la memoria si misura in gigabyte e dove si può vedere quasi tutto sullo schermo del proprio cellulare, chi sceglie di fare parte dello spettacolo dal vivo come fruitore o come attore è un “rivoluzionario”.
Il rapporto tra i due personaggi rispecchia in qualche modo quello tra di voi, che siete realmente fratello e sorella?
C’è sempre qualcosa che ci lega ai personaggi che scriviamo anche quando sono, come in questo caso, piuttosto negativi. Ad esempio l’ironia tagliente delle loro battute si avvicina al nostro modo di discutere nella quotidianità. Questione fondamentale è poi l’uso del dialetto che è la lingua che noi parliamo “a casa” e che ci aiuta a restituire una concreta autenticità nei dialoghi e nei contenuti.
Qual è il messaggio dello spettacolo?
Come spesso succede il teatro apre nuovi mondi e quindi nuovi interrogativi perciò non c’è un messaggio ma una domanda che sorge nelle battute finali “Credete che dopo una fame millenaria questa stanca e sazia civiltà possa ritrovare l’appetito di un desiderio vitale?”
Andrete in scena nell’architettura industriale di una segheria: un luogo “ideale” dato il tema della vostra riflessione
La ditta del protagonista è “leader mondiale nel settore della pavimentazione in legno” quindi per noi l’opportunità è quasi sorprendente. Lavoriamo con una materia fragilissima, vendiamo un prodotto che c’è “qui e ora”, ma anche noi siamo imprenditori della nostra compagnia, operai della parola e soggetti a dinamiche economiche.
“La prima generazione ha lavorato. La seconda ha risparmiato. La terza ha sfondato. Poi noi.” Qual è la generazione raccontata nello spettacolo?
Anche se ci sono riferimenti a tutte queste fasi economiche/generazionali, la nostra narrazione si concentra proprio su quel “noi”. Raccontiamo la storia di due fratelli che sono “vittime del privilegio”. Nati in una famiglia ricca, figli di un bravo imprenditore e di una reginetta di bellezza hanno trovato una pista già battuta ma allo stesso tempo sentono che “il traguardo” è stato loro sottratto”.
29/05/2015